L’encausto

Storicamente si tratta della tecnica di pittura murale che impiega colori sciolti in cera e fatti fissare al supporto per mezzo di un ferro caldo utilizzato come un pennello. Per la buona riuscita delle opere la preparazione del intonaco era di estrema importanza. Esso doveva comprendere uno strato di rinzaffo, più strati di arriccio costituiti da grassello di calce, pozzolana e sabbia di fiume di granulometria decrescente dall’interno verso l’esterno. L’intonachino era realizzato con un impasto di grassello di calce, cera, colla e calcite spatica in polvere, battuto e passato a frattazzo in modo da restare piuttosto ruvido. I colori dati in superficie erano temperati con colla di bue e miscelati con cera punica (cera vergine d’api, acqua e cloruro di sodio) e calce spenta , asciutta e finissima, in grado di sgrassare la miscela e dare maggiore aderenza. Terminata l’essicazione si applicava a pennello la cera punica mescolata a poco olio che veniva successivamente fatta fondere e penetrare nell’intonaco con l’ausilio di bracieri o ferri caldi ed in ultimo lucidata con stracci di lana strofinati energicamente. Plinio parla di un’ulteriore mano di atramentum, forse bitume sciolto in olio e diluito con essenza di trementina e petrolio, che serviva a rendere i colori ancora più brillanti ed a scongiurare il deposito della polvere. Una versione più veloce, sopravvissuta fino ai tempi moderni, prevedeva l’impregnazione dell’intonaco a base di grassello di calce e polvere di marmo, ben asciutto e ruvido, con un numero sufficiente di mani di olio di lino caldo ed una stroffinatura con pietra pomice. La tinteggiatura, realizzata con colori ad olio miscelati a cera, si eseguiva a pennello sull’intonaco asciutto.
Un’altra variante è costituita dal cosiddetto encausto inglese, che veniva realizzato con una miscela base costituita da resina Elemi, olio di lavanda o di spigo, cera d’api sbiancata e resina Copale liquida, da utilizzarsi sia per la realizzazione del fondo, sia della tinta. La miscela base, diluita con acquaragia, serviva per impregnare a freddo ed in più passate l’intonaco e per realizzare una rasatura, aggiungendo gesso e biacca, che prima di stendere le tinte veniva finita con una mano di olio di lavanda diluito con acquaragia. I pigmenti utilizzati, che dovevano essere macinati molto accuratamente ed applicati come nelle normali tecniche a tempera, apparivano piuttosto brillanti senza bisogno di finiture a caldo.


testo di Flavia Trivella, pubblicato nel n° 28 del bimestrale Materiali Edili (Alberto Greco Editore)

Tecniche di decorazione pittorica tradizionali-introduzione
Il marmorino
Lo stucco
L’intonaco a cocciopesto
Il graffito (o sgraffito)
L’affresco
Il fresco secco
La tempera a colla
La pittura ad olio

Commenti